Se vi dicessimo che l’epoca de “il logo per favore grande. Si deve vedere!” è ormai alle porte ci credereste? A dirlo non siamo noi addetti della comunicazione, che di fatto lo abbiamo tanto sperato, quanto piuttosto il trend che su scala mondiale sta ridisegnando le nuove logiche del branding o per essere più corretti del Debranding.
Negli ultimi anni, complice il potenziamento della fruizione digital e il conseguente avvicinamento agli utenti, si sta assistendo ad una vera rivoluzione dei brand, che sembrano sempre più orientati allo snellimento del loro marchio per lasciare spazio al vero protagonista della propria strategia di marketing: ossia il consumatore.
Cos’è il debranding?
Il debranding non è altro che un processo strategico di sottrazione, che vede l’eliminazione del logo o di uno o più elementi che lo compongono al fine di accorciare le distanze con la sua community, abolendo quel timore reverenziale che potrebbe disincentivare l’acquisto di determinati prodotti.
Come si attua il debranding?
Spogliare visivamente un brand di alcuni degli elementi che fino a quel momento lo avevano vestito non significa di fatto privarlo della sua identità. Il debranding piuttosto tende a determinare nella sua realizzazione una nuova possibilità di racconto, pur restando necessariamente ancorato alla coerenza e riconoscibilità del marchio. Le possibili attuazioni di questo processo di semplificazione si muovono percorrendo molteplici strade.
La separazione del logotipo dal pittogramma
Fra i primi processi di snellimento vi è sicuramente la separazione del logotipo (naming) dal pittogramma (segno grafico). In questo modo il logo si va sintetizzare nella sua rappresentazione visiva, aprendosi ad una lettura semplificata. Un esempio iconico sicuramente è quello fornitoci da Nike e il suo iconico baffo, quanto quello di Starbucks che sulle sue celebri cup take away sceglie di omettere il naming per lasciare spazio al nome del cliente.
